L’adozione è una situazione fortemente traumatica. Ciò può pertanto creare difficoltà e ostacoli sia per i bambini che per i genitori adottivi, con le loro reciproche aspettative. La vera sfida per il genitore adottivo sarà quella di costruire con il bambino Nuovi Modelli operativi Interni con un senso di sicurezza e calore. Il fine è quello di trasformare quelli disfunzionali che il bambino ha portato con sé in modelli adattivi.
In questo articolo cercheremo di affrontare i principi base della psicologia dell’adozione.
Breve storia dell’adozione
In questi ultimi anni, è aumentato notevolmente il numero di coppie che si rivolge alla pratica dell’Adozione. Un bambino è considerato in “stato di adottabilità” quando il Tribunale dei Minori riconosce che le condizioni di assistenza materiale e morale vengono meno, purché ciò non sia legato a fenomeni di carattere transitorio.
In Italia, è solo nel 1967 che si iniziano ad intravvedere i primi capovolgimenti culturali sull’adozione, che fino a quel momento avevano privilegiato gli interessi affettivi e soprattutto patrimoniali dell’adulto. Infatti, spesso, era motivazione principale e sufficiente la necessità di avere un erede legittimo ai propri beni, in coppie già in età avanzata.
Sarà solo dopo questo periodo che l’attenzione si sposterà sul bambino in stato di abbandono, privilegiando il diritto del minore ad avere una famiglia idonea e stabile nel più breve tempo possibile, considerando così il bambino non più oggetto ma soggetto di diritto.
Per assistenza materiale e morale si intendono le cure e le attenzioni affettive ed educative, che sono le fondamenta indispensabili per uno sviluppo sano e sereno della personalità del bambino.
L’adozione internazionale
A causa della progressiva carenza di bambini italiani (la cosiddetta Adozione Nazionale), sempre più coppie si rivolgono all’Adozione Internazionale, e così, anche i bambini non italiani sono considerati titolari di diritti.
Anche il bambino straniero ha quindi il diritto ad una famiglia, ponendo sempre più l’enfasi sul fatto che non è la procreazione a stabilire il vincolo di filiazione, ma il condividere l’esperienza della quotidianità, superando così il concetto di legame di sangue. Questo è ancora più vero nelle adozioni internazionali, dove il vincolo di filiazione deve superare anche le profonde differenze etniche, somatiche e culturali di cui il bambino è portatore.
Cosa comporta l’adozione
I bambini sono predisposti biologicamente, fin dalla nascita, a formare relazioni di attaccamento con la persona che si prende cura di loro. Dal canto loro, anche gli stessi genitori, prendendosi cura dei loro figli, sviluppano un sistema motivazionale dell’accudimento.
Sulla base della capacità di responsività dei genitori, il bambino può sviluppare delle rappresentazioni mentali delle relazioni con l’altro e delle aspettative che possono essere capaci di orientarlo nell’interpretare gli eventi e il mondo che lo circondano, nonché a sviluppare un senso di sé, delle convinzioni positive su di sé e sugli altri: ad es. “posso chiedere aiuto”, “mi sento amabile”. In questo senso si parla di Modelli Operativi Interni.
Figli adottivi e attaccamento
Secondo John Bowlby, l’attaccamento è un legame emotivo, profondo e duraturo, che si sviluppa tra un bambino e la sua figura di attaccamento primaria. Questo legame è essenziale per il benessere emotivo e sociale del bambino e influenza il suo sviluppo futuro. Inizialmente si manifesta e si sviluppa attraverso il contatto fisico, la cura, e la vicinanza, offrendo un senso di sicurezza e fiducia nelle relazioni future.
I fattori che garantiscono la sicurezza, e quindi gli accorgimenti che possono aiutare i bambini adottivi sono:
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il contatto fisico e visivo, attraverso il quale la figura di attaccamento può dare conforto, offrendo una funzione di contenimento quando il bambino soffre
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la sintonizzazione emotiva e la responsività: capire i bisogni primari ed emotivi, rispondere ad essi in maniera sintonica, regolandone le emozioni
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un ambiente sicuro e coerente, che possa permettere al bambino la creazione di aspettative prevedibili riguardo a ciò che può ricevere dall’altro in caso di bisogno
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il gioco esplorativo e condiviso, che gli permetta di sperimentare il mondo con un certo senso di sicurezza, sapendo di poter tornare in un porto sicuro in caso di pericolo
Genitorialità adottiva: un percorso impegnativo
La costruzione della genitorialità adottiva richiede un percorso lungo, caratterizzato da difficoltà, dubbi e paure.
L’inserimento di un figlio ha una forte ripercussione sull’equilibrio del nuovo sistema familiare, e può rivelarsi faticoso. Spesso, c’è l’idea che, con tanto amore, si possa risolvere tutto. Tuttavia, bisogna fare i conti con le esperienze traumatiche pregresse del bambino, le sue ferite, le sue aspettative… Senza poi dimenticare il fattore di reciproca estraneità, che richiede comprensione e tempo per capire e conoscersi meglio. Inoltre, i genitori devono riflettere ed accettare le differenze tra il bambino immaginario e il bambino reale, così come anche con la loro immagine di sé come genitore immaginato e il loro reale atteggiamento.
Fattori di rischio per figli adottivi
Il trauma dell’abbandono richiede una riparazione affettiva che tenga conto che il bambino ha una sua storia pregressa. L’abbandono costituisce infatti una ferita profonda che può andare a compromettere l’autostima, la fiducia e la capacità di relazionarsi con gli altri. Compito essenziale del genitore adottivo è quello di essere capace di contenere, e tradurre le emozioni e le sensazioni spiacevoli, che il bambino non è in grado di elaborare e comprendere da solo, restituendogliele in una forma più pensabile e tollerabile.
Questo è un lavoro che richiede tempo, pazienza e sensibilità da parte dei genitori adottivi, i quali devono saper ascoltare, comprendere e rispettare i bisogni e i ritmi del figlio.
Un altro aspetto fondamentale dell’adozione è la costruzione dell’identità: ossia, il cercare di capire chi si è, da dove si viene e dove si sta andando. Il bambino va aiutato ad integrare il passato col presente, rispondendo in modo chiaro e veritiero a tutte le sue domande e curiosità, usando parole adatte per la sua età.
Disturbi psicologici e comportamentali dei figli adottivi
La letteratura ad oggi relativa all’adozione nazionale e internazionale mostra come i figli adottivi possano presentare più difficoltà, rispetto ai loro coetanei non adottivi, in diverse aree, come quella della regolazione emotiva, nell’area relazionale, nell’adattamento sociale, così come nell’apprendimento.
Alcuni tra disturbi maggiormente presenti sono: disturbi della condotta e disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD).
Altre fatiche sono:
Ritardi dello sviluppo motorio/psicomotorio
Ritardi linguistici
Ritardi sociali, difficoltà nel relazionarsi coi pari
Ritardi cognitivi
Regressioni in cui il bambino perda abilità e competenze raggiunte
Enuresi
Perdita di autonomia
Disturbi del sonno (paure notturne)
Difficoltà di alimentazione (possono nascondere il cibo oppure mangiare eccessivamente)
Difficoltà di regolazione delle emozioni (rabbia, aggressività, pianto…)
Comportamenti auto-aggressivi, bizzarri o auto-consolatori, soprattutto nei momenti di stress, crisi emotive e capricci
Una minor capacità di comprendere gli effetti delle proprie azioni
Capire ed accettare le nuove abitudini e lasciare andare le vecchie, che sono state adattive e funzionali fino al momento dell’adozione
Spesso, dopo un periodo di quiete iniziale (cosiddetta ‘luna di miele’), il bambino può attivare comportamenti provocatori ed oppositivi per mettere alla prova i genitori adottivi
Le problematiche legate all’adozione
Questa maggiore predisposizione a varie difficoltà psicologiche è possibile ricondurla alle esperienze avverse che hanno vissuto inizialmente nella famiglia biologica, come il maltrattamento infantile, l’abuso sessuale e fisico, la trascuratezza nelle cure, eventi che determinano un forte impatto negativo sull’organizzazione psicologica della persona (Chistolini 2010; Williams 2009).
Diventa un compito essenziale stabilire regole chiare e coerenti, calmare il bambino sintonizzandosi sulle sue emozioni, che gli vanno restituite pensabili senza atteggiamenti punitivi, insegnando modi alternativi di comportamento più funzionali al nuovo contesto familiare (A.R. Verardo 2020). Un contesto accogliente e amorevole per il bambino o il ragazzo è estremamente faticoso da gestire ed assimilare inizialmente, perché molto diverso da quello a cui era abituato precedentemente. E questo va considerato nel tentativo di comprendere certi atteggiamenti del proprio figlio. La famiglia adottiva, se ben preparata ad accogliere le difficoltà insite nell’adozione stessa, può rappresentare un fattore di resilienza nel difficile percorso di vita di questi bambini.
Come si sente un bambino adottato
Per aiutare i bambini adottivi, va tenuto conto che anche l’età del bambino ha la sua importanza.
Nei neonati, che hanno appena pochi mesi di vita, la percezione dell’abbandono è mediata da quanto i genitori adottivi gli diranno.
A 4-5 anni, invece, l’adozione è resa critica dal fatto che il bambino inizia a percepire e ad elaborare la realtà dell’abbandono.
Nella fase dell’età scolare, il bambino inizia a rendersi conto del rapporto tra l’essere stati adottati e l’abbandono. È proprio in questo momento che il bambino si pone le prime domande sul perché è stato abbandonato.
Con l’adozione, il minore adottato va incontro ad una serie di cambiamenti: rompe il legame di attaccamento primario, cambia il suo cognome ed è sradicato dal posto in cui è nato e vissuto. Nel caso di adozione internazionale, poi, il bambino si trova in un contesto culturale e sociale diverso, totalmente nuovo ai suoi occhi.
Tuttavia, perdere la continuità del senso di sé, con un taglio netto con le proprie origini e la propria storia, sarebbe per lui un ulteriore danno.
Accorgimenti per aiutare i bambini adottati
Per tutti i motivi appena esposti, uno dei compiti fondamentali dei genitori adottivi è, oltre a quello di accudire e di prendersi cura del bambino, anche di integrare l’immagine che il bambino ha di sé, prima e dopo l’abbandono, permettendo così la costruzione della comune appartenenza familiare e di percepire l’adozione come un evento naturale.
Spesso, i genitori adottivi si trovano in seria difficoltà su come comportarsi col bambino, soprattutto in merito a cosa dirgli, o non dirgli, circa le sue origini.
Rivelare al bambino la sua condizione di figlio adottato è necessario per instaurare il patto adottivo, al fine di garantire lo sviluppo della continuità del sé.
Quanto più i nuovi genitori saranno in grado di accettare e colmare la curiosità del bambino sulle sue origini, tanto più l’immagine che il bambino si formerà di sé, sarà integrata.
La fase di assestamento nel percorso dell’adozione
Nella fase di assestamento, i genitori adottivi hanno due compiti fondamentali:
raccontare la verità sulle sue origini
favorire il senso di continuità del sé
Il modo migliore è informare il bambino fin dall’inizio, in maniera realistica e comprensibile.
Modi e tempi per raccontare la verità possono essere stabiliti chiedendo aiuto ad un esperto, ma soprattutto fidandosi del proprio intuito di genitori, senza lasciarsi prendere dalla paura. In base all’età del bambino, è possibile ad esempio dare forma insieme a lui ad una sorta di album/libro contenente informazioni sulle sue radici, i ricordi sulla famiglia biologica, fino all’incontro con la famiglia adottiva. Una sorta di favola, dunque, attraverso cui narrare la sua storia.
In più occasioni i bambini esprimeranno il bisogno di sentire la loro storia. Sarà compito dei genitori adottivi trasformare la verità in una storia realistica. Per non perdere la fiducia nei genitori, il bambino ha bisogno infatti di ascoltare un racconto aderente al reale. Il genitore adottivo deve mosrtare empatia e far capire al bambino che comprende il suo dolore.
Nel racconto della storia del bambino dovranno trovare posto elementi, quali:
in che modo è nata la propria famiglia attuale
il motivo per cui i genitori biologici hanno rinunciato a crescerlo
il racconto del loro desiderio di diventare genitori di quel bambino
l’incontro con lui/lei bambino
le loro emozioni come genitori e i propri vissuti
il loro percorso adottivo
Nella fase di assestamento, i genitori adottivi devono soddisfare il bisogno di attaccamento del bambino, piuttosto che quello di distacco e autonomia.
L’importanza di un supporto psicologico per affrontare l’adozione
Durante il processo dell’adozione, il supporto psicologico può svolgere un ruolo molto importante, accompagnando sia i genitori adottivi che i figli adottivi durante il processo di costruzione familiare, facilitando la comunicazione, la comprensione e la risoluzione dei conflitti.
Inoltre, può intervenire in caso di difficoltà o problematiche psicologiche o comportamentali, che possono emergere in qualsiasi momento della vita, nel bambino o nei genitori adottivi, aiutando i secondi a legittimarsi a tutti gli effetti nel loro ruolo genitoriale.
Nell’ambito dell’adozione, la psicologia può offrire vari tipi di strumenti di intervento, come la terapia individuale, la terapia familiare, la terapia di gruppo, così come il supporto scolastico. Lo scopo è quello di promuovere il benessere e lo sviluppo armonico di tutti i membri della famiglia.
In caso di dubbi o difficoltà, Contatta lo Studio Sapsico di Piacenza, chiamando o compilando l’apposito modulo dei contatti.
Il team di Sapsico è specializzato in terapia individuale e familiare in tema di adozione.
La nostra esperta:
Giovanna Simona Bettinelli
Psicologa e psicoterapeuta a orientamento cognitivo-neuropsicologico.
Lavoro con adulti e coppie, con sedute di sostegno psicologico e psicoterapia, supporto alla genitorialità. Formata nel trattamento delle fatiche dell’età evolutiva.
La nostra esperta:
Ada Sala
Psicologa e psicoterapeuta a orientamento sistemico-relazionale con esperienza nelle problematiche relazionali di adulti, delle coppie e delle famiglie.
Mi occupo, inoltre, di sostegno alla genitorialità, anche adottiva, e dei disturbi dell’età evolutiva.
La nostra esperta:
Silvia Marazzina
Psicologa dello sviluppo e dei processi educativi esperta in neuropsicologia clinica. Lavoro con bambini e adolescenti, con sedute di sostegno psicologico e potenziamento cognitivo-neuropsicologico. Formata nella valutazione e trattamento dei disturbi del neurosviluppo.
La nostra esperta:
Chiara D’Ambrosio
Logopedista dell’età evolutiva e adulta.
Mi occupo di prevenzione, valutazione, trattamento, potenziamento, educazione e rieducazione di tutte le patologie riguardanti la voce, la comunicazione, il linguaggio, gli apprendimenti, le funzioni orali e la deglutizione.
La nostra esperta:
Silvia Bonzo
Logopedista con formazione rivolta all’età evolutiva, adulta e al soggetto anziano.
I miei ambiti di intervento sono la prevenzione, valutazione e il trattamento dei disturbi relativi a comunicazione, linguaggio, apprendimenti, funzioni orali, deglutizione e voce.